UNA CORSA AL MULINO

Ore 7:30, ho scelto: correrò sul bagnasciuga senza calzini e scarpe, con un pantaloncino nero di cotone, il reggiseno da running traspirante, occhialini scuri, il lettore mp3. Tiro su i capelli e li sistemo con mollette e fermaglio, preparo la bottiglietta d’acqua, la inserisco nella sacca con il telo, un costume e sono pronta. Lo sono subito per una corsa, soprattutto d’estate. Il punto di partenza è il casottino n. 18 dello stabilimento balneare che frequento ormai da tanti anni. Durante il breve tragitto in auto pregusto il sano piacere che mi attende; un automobilista incurante del regolamento stradale si impegna per farmi perdere le staffe e quasi ci riesce, ma il pensiero del benessere che mi aspetta ha la meglio, pertanto sbuffo ma non impreco. Arrivo sul bagnasciuga e prima di iniziare la corsa compio un rituale: pochi minuti di stretching, poi valuto l’intensità del vento e la presenza di eventuali dune di alghe che regalano al percorso l’effetto slalom. Oggi vento da nord, mare con risacca e iodio in abbondanza. Il ritmo del primo brano mi invoglia a non dilungarmi, so già che l’effetto sorpresa non mi dispiace. Inizio lentamente a lasciare le orme sul bagnasciuga che mostra una pendenza irregolare; le articolazioni soffriranno un po’, ma la colorazione rosata della sabbia concede subito spazio allo stupore. Chi avrà portato questi frammenti di corallo? – mi chiedo con voluta ingenuità - concedendomi a quella spontaneità infantile che non voglio perdere. Seguo dunque la scia colorata che “qualcuno” ha sapientemente lasciato, pensando alla raccolta degli innumerevoli frammenti, passatempo per piccole e grandi mani operose. Ad un tratto si interrompe, forse bruscamente; preferisco dirigere il mio sguardo verso le isole Egadi, cercando di alleviare la fatica di un fiato che non è ancora spezzato. La foschia le lascia intravedere, belle come sempre, luoghi di incroci e di conquiste. Mi piace quando i gabbiani sembrano toccarle, ma oggi non li vedo. Lascio il bagnasciuga e affronto faticosamente la salita della duna di sabbia. I piedi affondano. In questo tratto non ci sono gli stabilimenti: ho a disposizione circa un chilometro di sabbia soffice, tiepida, che il tizio con la macchina pulitrice sembra aver livellato proprio per me, creando diverse corsie irregolari. Scelgo quella centrale. La fatica si fa sentire, il respiro è corto. Credo di non farcela. Respiro. Mi piace pensare al respiro, mi concentro su questo. Lo sento, scandisce il mio incedere faticoso e il brano nelle cuffiette si confonde con esso. Respiro, soffio vitale, sento che mi attraversa…posso continuare. Sarà una questione di accordi? Non so quanti minuti scorrono, ma noto che sto seguendo delle orme di zampette sulla sabbia. Sono tante, formano strane figure. Toh, guarda guarda chi si vede: il mio amico gabbiano ben pasciuto! Cerco gli altri del gruppo, non ci sono. Mi avvicino ma…è già in volo, ed è in quel momento che una nuova energia mi alimenta, regalando la voglia di liberarmi da una sensazione di pesantezza. Il vento mi allenta una ciocca di capelli, le gocce di sudore solleticano il collo. Inverto il senso di marcia e il vento mi dona refrigerio. Il respiro è più disteso, mi sento rigenerare. Lascio il tratto di sabbia morbida e ritorno al bagnasciuga. Il passo è spedito, la risacca bagna i piedi e gli schizzi rinfrescano le gambe. Ritrovo la scia rosata, una sorta di elettrocardiogramma impazzito. Sarà forse il mio? - mi chiedo sorridendo - pensando a quel pizzico di sana follia che saltuariamente sprizza dai miei pori. Un anziano signore mi viene incontro, armeggiando con due bastoncini. La sua andatura “attrezzata” mi incuriosisce, è simile a quella di uno sciatore che gareggia nello sci di fondo, ma chissà da quale pista proviene! In quel momento non posso fare a meno di pensare che un giorno, quando non potrò più correre, vorrò almeno poter camminare sul bagnasciuga…con il sorriso. Passo accanto agli stabilimenti: i bagnini posizionano le barche di salvataggio, una rapida occhiata e il tempo riprende a scorrere troppo lentamente o troppo in fretta, non lo so. Cerco un pensiero felice, sento di trovarlo senza fatica e pervade la mia mente: scorgo il mulino, sospesa testimonianza di un tempo arcaico. E’ lì, dove spesso si radunano i miei amici alati, che mi dirigo carica di una nuova energia. Provo una sensazione di straordinaria armonia e ogni volta di assoluta meraviglia. Mi avvicino, sento che ali e piedi sono in magica simbiosi, lanciati verso l’azzurro. Il ritmo del brano è avvolgente, complice di uno spettacolo mozzafiato che mi riporta l'eco di profumi, sorrisi, semplicità, voglia di esserci. Respiro, respiro…c’è un mondo in gestazione dentro e fuori di me. Il mulino è a pochi passi, bello, imponente, voce di mare e terra. I gabbiani sono lì, vicinissimi. Hanno atteso il mio arrivo. Tutto sembra eterno. Spiccano il volo e si crea una danza armoniosa baciata dal sole. La distanza tra me e loro non è così importante, sento che in quel momento non c’è. E’ tempo di affrontare la curva, compio il mio giro di boa e corro, corro a perdifiato. Torno a forare il cielo, l’immensità del mare, rivedo le mie orme, ne creo di nuove. In prossimità della bandierina nello stabilimento San Giuliano, punto di arrivo, mi si affianca un bimbo che lascia la palla e corre con me. E’ divertente. Rallento, sono sudata, mi fermo, riprendo fiato. Lui ride. Devo essere buffa in quel momento. “Sei brava, ma perché corri?” Lo guardo negli occhi, grandi e birichini, sorrido…ma questa è un’altra storia.

Giusy Barbera